Alcuni studi dimostrano che ingerire caffeina di prima mattina in realtà inibisce la produzione di cortisone, l’ormone che ci tiene svegli
“Beviti una tazza di caffè, così ti svegli”. Si tratta di una frase mantra che molto spesso ci sentiamo ripetere come calda esortazione quando entriamo in ufficio con gli occhi ancora gonfi di sonno. Già, perché questa bevanda amara, dal colore marrone intenso, è diventata la soluzione a qualsiasi problema di stanchezza e sonnolenza. L’arma per rimanere svegli, pimpanti, scattanti. Una botta di energia naturale. Per chiunque.
Basti pensare che il caffè è la bevanda più consumata al mondo. In particolare, in Italia, che si aggiudica il settimo posto tra i Paesi in classifica, vengono preparate circa 95 milioni di tazzine fumanti al giorno, con una media di 1,6 tazzine pro capite. Che sia a colazione o appena dopo i pasti, il caffè è diventato un rito a cui non si rinuncia facilmente. La sua popolarità e il suo apprezzamento vengono confermati anche dagli esperti, che in molte occasioni hanno i benefici di questa bevanda amarognola sulla salute degli individui. Ma analizziamo nel dettaglio le proprietà stimolanti del caffè, comprendendo le ragioni dei suoi effetti e del perché alcune volte non funzionano.
I momenti migliori per bere il caffè
Contro ogni aspettativa, uno studio ha dimostrato che il consumo di caffè appena svegli riduce l’effetto della caffeina. Addirittura, una simile pratica abituale porterebbe chi lo consuma a sviluppare una tolleranza per questa sostanza, al punto che sul lungo termine non sortirà più lo stesso effetto eccitante sull’organismo. Quanto emerso parte dal presupposto che il ritmo sonno-veglia è regolato da alcuni ormoni prodotti dell’organismo. Tra questi, spicca il cortisolo – anche noto come ormone dello stress – che viene rilasciato per farci svegliare, ma anche nelle situazioni di ansia o preoccupazione. Dunque, se si consuma caffè appena svegli, proprio mentre l’organismo sta rilasciando cortisolo, la bevanda inibisce la produzione di questo ormone. Quindi, di conseguenza, il corpo farà più affidamento all’effetto stimolante della caffeina per svegliarsi. Tuttavia, assumere reiteratamente caffè mentre il cortisolo è al suo livello massimo può indurre anche un’assuefazione alla caffeina. Questo perché, in sostanza, l’effetto della caffeina non si aggiunge a quello del cortisolo, ma anzi lo perdendo nel lungo termine la sua efficacia dato che il corpo impara a metabolizzarla.
Nello specifico, il cortisolo viene rilasciato nell’organismo tre volte durante l’arco della giornata: la mattina presto, tra le 8 e le 9, a metà mattinata, tra le 12 e le 13, nel tardo pomeriggio, tra le 17:30 e le 18:30. Alla luce di queste tre fasce – che tuttavia possono variare sulla base gli orari del singolo individuo – Steven Miller, neuroscienziato della Uniformed Services University of the Health Sciences, nel Maryland (USA), ha constatato che per sfruttare al meglio gli effetti della caffeina bisognerebbe consumare caffè tra le 9,30 e le 11,30, e tra le 14 e le 17. Infatti, in queste fasce orarie la sua assunzione non dovrebbe interferire con la produzione di cortisolo, producendo gli effetti stimolanti desiderati.
In linea generale, gli esperti raccomandano di assumere non più di 300 milligrammi di caffeina al giorno, pari a circa 4 tazzine. D’altro canto, le persone che riscontrano un’intolleranza o una particolare insofferenza alla caffeina possono sostituire il caffè con il tè verde o al matcha, entrambe bevande dall’alto potere energizzante, o ricorrere a integratori contro la stanchezza. Si tenga presente che eccedere nelle dosi di caffè giornaliere può indurre ad ansia inspiegabile, insonnia, cortisolo alto, tremori, nervosismo e aumento della pressione arteriosa.
I benefici del caffè
Di tutte le molteplici componenti nutrizionali del caffè, la più famosa è sicuramente la caffeina. Nello specifico, quest’ultima risulta capace di:
- svolgere un’azione stimolante sulla secrezione gastrica e su quella biliare, e quindi riesce a facilitare l’atto digerente;
- stimolare sia la funzionalità cardiaca sia quella nervosa, con un conseguente effetto energetico, utile a contrastare, in primo luogo, il senso di sonnolenza avvertito dopo pranzo;
- favorire il dimagrimento: infatti, la caffeina ha un effetto lipolitico, vale a dire che stimola l’utilizzo dei grassi a scopo energetico e la termogenesi – processo attraverso il quale l’organismo produce calore per mantenere la temperatura corporea costante – aumentando la quantità di calorie bruciate;
- diminuire il senso di fame.
A tal proposito, al di là della sua sdoganata capacità nello stimolare il cervello e il sistema nervoso centrale, numerosi studi hanno dimostrato l’esistenza di ulteriori effetti benefici associati al consumo moderato di caffè. Nello specifico, uno dei maggiori benefici del caffè è dovuto alla presenza di composti che hanno proprietà antiossidanti, come i polifenoli, gli acidi clorogenici e i diterpeni.
Inoltre, i consumatori abituali di questa bevanda amare sembrano essere esposti a un rischio più basso di sviluppare malattie del fegato, diabete di tipo 2, malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer, e alcuni tipi di cancro come quello al fegato e al colon-retto. Più di recente, un ulteriore studio, portato avanti dalla Semmelweis University di Budapest, ha dimostrato che bere fino a 3 tazzine di caffè al giorno riduce il rischio di ictus, infarto e morte per qualsiasi causa.
Quando il caffè non fa più effetto
È anche vero che spesso, a lungo andare, i consumatori abituali si rendono conto che il caffè non sortisce loro gli effetti desiderati. Infatti, Il corpo assorbe molto rapidamente la caffeina: basti pensa che il 99% viene smaltito entro 45 minuti dal consumo. Tuttavia, una volta che il corpo ha imparato a metabolizzare la caffeina completamente, i suoi effetti svaniscono.
Dunque, le persone che consumano regolarmente caffè, come anche altre bevande che contengono la caffeina – possono sviluppare una tolleranza ai suoi effetti stimolanti. Infatti, la caffeina è nota per bloccare i recettori dell’adenosina, una sostanza chimica del cervello che influenza il ciclo sonno-veglia, i cui livelli aumentano durante le ore di veglia e diminuiscono mentre si dorme. In genere, le molecole di adenosina si legano a speciali recettori nel cervello, che rallentano l’attività cerebrale per preparare il corpo al sonno. Tuttavia, la caffeina, legandosi ai recettori dell’adenosina, impedisce che ciò accada.
Però, tale inibizione, non influisce sulla produzione di nuova adenosina. Per questo, una volta svanito l’effetto della caffeina, le molecole di questa sostanza chimica possono tornare a legarsi ai loro recettori, provocando una sensazione di sonnolenza.
Ma analizziamo questo fenomeno “anomalo” sulla base di un recente studio. In quest’ambito, i ricercatori hanno esaminato gli effetti del consumo continuativo di caffeina sulle prestazioni ciclistiche di undici soggetti adulti. All’inizio dell’esperimento, dopo aver bevuto caffè, i partecipanti registravano frequenze cardiache più elevate e avevano più slancio nell’esercizio. Tuttavia, dopo quindici giorni di ripetizione della stessa routine, gli effetti della caffeina hanno iniziato a diminuire. Questo perché il loro corpo aveva ormai imparato a metabolizzarla completamente, annullandone le proprietà di stimolazione.
Pertanto, per tornare a sentire gli effetti energizzanti del caffè, bisogna modificare la routine, aumentando un po’ il consumo abituale di caffè, ma senza esagerare troppo. Secondo quando consigliato dal Ministero della Salute, a sua volta basato sui dati EFSA – l’ Autorità europea per la sicurezza alimentare –, un adulto dovrebbe consumare circa 200 mg di caffeina al giorno, anche se fino a 400 mg al giorno non dovrebbero creare alcun problema di salute nelle persone sane. Di norma, un caffè espresso non supera la dose di 80 mg di caffeina, mentre un caffè americano, lungo e in tazza grande, può arrivare anche a 90 mg.