I numeri delle allergie alimentari crescono di pari passo ai consumi del cibo spazzatura. Nel mirino gli “Age” presenti in dolci e fritti
E se alla base dell’aumento delle allergie alimentari ci fosse anche il consumo di troppo cibo spazzatura? A lanciare l’ipotesi, per la prima volta, è uno studio italiano presentato nel corso del congresso della Società europea di gastroenterologia, epatologia e nutrizione pedriatica (Espghan) tenutosi a Glashow.
Secondo i ricercatori dell’università Federico II di Napoli, il frequente ricorso al junk food potrebbe essere responsabile dell’incremento degli Age, composti in grado oltre un certo limite di determinare un effetto dannoso per la salute.
Tra le possibili conseguenze di un aumento dei loro livelli nell’organismo, c’è la capacità di sviluppare un’iperreattività nei confronti di alcuni allergeni alimentari.
Allergie alimentari: è colpa del cibo spazzatura?
Gli studiosi sono giunti a questa conclusione dopo aver osservato tre gruppi di bambini (6-12 anni): i sani, quelli alle prese con un’allergia alimentare e i piccoli pazienti affetti da un’allergia respiratoria.
Rilevando la concentrazione di Age sotto la loro cute, i ricercatori hanno misurato livelli più elevati nei bambini del secondo gruppo.
L’incremento è risultato significativo rispetto ai valori emersi dagli altri due campioni. Da qui l’ipotesi che possa esserci anche il loro zampino alla base dell’incremento delle allergie alimentari.
L’azione degli Age, secondo Roberto Berni Canani, direttore del centro di allergologia pediatrica della Federico II e a capo del laboratorio di immunonutrizione del Ceinge, potrebbe rappresentare “l’anello mancante in grado di spiegare l’aumento dell’incidenza di queste malattie”.
I fattori ambientali e la dieta, d’altra parte, sono da tempo osservati speciali. Serviranno ulteriori riscontri, «ma se questa ipotesi dovesse trovare conferma, i governi dovrebbero incrementare gli interventi finalizzati alla riduzione del consumo di questi alimenti da parte dei bambini».
Gli Age sono composti – l’acronimo sta per prodotti di glicazione avanzata – che si formano a seguito di una reazione tra uno zucchero e una proteina.
La loro presenza è maggiore nei dolci, negli alimenti di origine industriale, nei prodotti da forno e fritti. Possono inoltre svilupparsi a seguito di cotture (grigliate o fritture) a elevate temperature.
Queste molecole sono in grado di determinare una forte ossidazione e si sospetta che siano coinvolti nei meccanismi di insorgenza del diabete e di altre malattie croniche legate all’invecchiamento.
La possibile correlazione con le allergie alimentari è nuova e matura in un’epoca in cui queste malattie sono cresciute di pari passo con il consumo di cibo spazzatura. Ma l’ipotesi è considerata credibile, soprattutto considerando che queste molecole già in passato sono state rilevate in valori oltre la soglia in persone affette da allergie di altro tipo.
E che, nei mesi scorsi, consumi eccessivi di sale erano stati correlati all’insorgenza della dermatite atopica. Gli Age fungerebbero da innesco della risposta immunitaria alla base di tutte le allergie alimentari.
L’ipotesi giunge a pochi mesi di distanza da un altro lavoro pubblicato dal gruppo di Berni Canani. In quel caso, attraverso le colonne di Nature Medicine, gli immunologi avevano indagato il comportamento del microbiota intestinale nei bambini affetti da un’allergia alimentare.
Siccome i miliardi di batteri che lo compongono sono in grado sin dalle prime fasi della vita di influenzare lo sviluppo e le funzioni del nostro sistema immunitario, ogni alterazione negativa (a cui concorre anche il consumo di cibo spazzatura) è in grado di indurre una risposta autoimmune imprevista.
A questa considerazione i ricercatori sono giunti dopo aver trapiantato nei topi i batteri intestinali provenienti da neonati allergici e quelli prelevati da coetanei sani. Il microbiota dei bambini non allergici proteggeva gli animali dall’esposizione al latte, al contrario di quanto determinato dai microbi di quelli allergici: responsabili di una reazione potenzialmente mortale (anafilassi) al momento della somministrazione di latte vaccino ai topi.
I possibili rimedi
Alcune allergie alimentari, come quelle al latte e all’uovo, nel 90-95 per cento dei casi si risolvono spontaneamente entro i dieci anni.
La frutta a guscio (noci, nocciole), le arachidi e il pesce sono, invece, allergeni più aggressivi. Salvo poche eccezioni, chi è allergico a questi alimenti rimarrà tale per tutta la vita.
Per molto tempo, l’approccio all’allergia alimentare si è basato sulla scelta di evitare gli alimenti implicati, il riconoscimento precoce e il trattamento tempestivo di un’eventuale reazione avversa a seguito dell’ingestione accidentale dell’alimento.
Da qualche anno si parla molto anche di immunoterapia orale specifica. Di cosa si tratta? Della possibilità di non obbligare una persona a limitare la propria dieta, inducendo una «tolleranza» attraverso la somministrazione di quantità crescenti dell’alimento contenente l’allergene.
“In questo modo si può raggiungere uno stato di desensibilizzazione che permette al paziente di aumentare le dosi di alimento che può assumere senza sviluppare reazioni allergiche”, afferma Gianluigi Marseglia, direttore della clinica pediatrica del policlinico San Matteo di Pavia e presidente della Società Italiana di Allergologia e Immnuologia Pediatrica (Siaip).
Questo approccio ha fornito prove di efficacia per il latte, le uova e gli arachidi. I dati finora raccolti riguardano i bambini dai 4 anni in su, quello che non si sa è se la risposta persista o meno per tutta la vita.
Per questo gli esperti raccomandano di ricorrervi soltanto nei centri ospedalieri e universitari più grandi, in modo da poter eventualmente far subito fronte a un’eventuale reazione agli alimenti in questione.