A fare luce sulla natura di questo fenomeno ci ha pensato un nuovo studio tutto italiano, condotto dai ricercatori dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena
L’immunoterapia si è dimostrata utile per il trattamento di varie patologie, tuttavia alcune forme di tumore resistenti hanno creato più di un grattacapo alla comunità medica. A fare luce sulla natura di questo fenomeno ci ha pensato un nuovo studio tutto italiano, condotto dai ricercatori dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE), in collaborazione con l’IRCCS Ospedale San Raffaele, l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Milano, Fondazione AIRC e Alleanza Contro il Cancro. Dai risultati ottenuti, pubblicati sul Journal for Immunotherapy of Cancer, è emerso che la resistenza del tumore al polmone all’immunoterapia dipende da un complesso meccanismo che parte da una proteina chiamata hMENA e causa una maggiore aggressività delle cellule tumorali, che rende il microambiente tumorale meno vulnerabile ai farmaci.
Ogni anno si registrano in Italia circa 41mila diagnosi di tumore al polmone. L’immunoterapia permette di curare alcuni dei pazienti, ma non funziona su tutti. Come spiegato da Paola Nisticò, la coordinatrice dello studio, la proteina hMENA potrebbe essere la principale responsabile di questa inefficacia del trattamento.
“Alcuni anni fa il nostro gruppo di ricerca aveva dimostrato che la proteina hMENA produce diverse forme proteiche. Due varianti di hMENA sono, in particolare, coinvolte nella progressione del tumore al polmone non a piccole cellule con funzioni opposte. Per questo una è stata denominata hMENA anti-invasiva, mentre l’altra è detta hMENA pro-invasiva”. Annalisa Tocci, prima firmataria dello studio insieme a Paola Trono, ha aggiunto che dalla nuova ricerca è emerso che le cellule che mancano della versione di hMENA anti-invasiva “comunicano con i macrofagi, cellule del sistema immunitario coinvolte nei meccanismi di infiammazione. A loro volta i macrofagi rispondono alle cellule tumorali, rendendole più aggressive”.
Scendendo ancora più nello specifico, la minore espressione della proteina hMENA anti-invasiva attiva nelle cellule tumorali dei segnali che mimano la presenza di un virus e stimolano la produzione di interferone di tipo I, una delle maggiori citochine antivirali con effetti anti-tumorali. Ciò potrebbe sembrare positivo, ma bisogna tenere presente che la produzione continua dell’interferone può incrementare l’aggressività delle cellule neoplastiche e creare un microambiente tumorale favorevole alla resistenza all’immunoterapia.
Grazie alle ultime scoperte potrebbe essere possibile mettere in atto delle nuove strategie per affrontare i meccanismi di resistenza del tumore del polmone e arrivare alla messa a punto di nuove immunoterapie combinate maggiormente efficaci. Come spiega Nisticò “tutti i dati sperimentali ottenuti sono stati validati in tessuti tumorali di pazienti con tumore del polmone trattati con inibitori dei check-point immunitari. Abbiamo dimostrato che fattori come l’espressione di hMENA anti-invasiva, l’interferone di tipo I e la presenza di macrofagi possono rappresentare una nuova frontiera nella medicina di precisione per selezionare i pazienti da trattare con l’immunoterapia. I dati ottenuti nella nostra casistica sono stati validati, con metodi computazionali, con altre ampie casistiche di pazienti.”
Per Gennaro Ciliberto, direttore scientifico dell’Istituto Regina Elena, “i risultati pubblicati sono un ulteriore esempio del valore della ricerca traslazione e dell’importanza di una stretta collaborazione con i pazienti oncologici e del loro prezioso materiale biologico per una migliore comprensione dei meccanismi alla base della malattia”.
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